Dunkirk non è un film “di guerra”.
Dunkirk è un film “sulla guerra”.
Ed è proprio quella “guerra”, così spietata e spaventosa, a divenire protagonista assoluta dell’ultima pellicola di Christopher Nolan. Una guerra che rende difficile scorgere i volti dei suoi combattenti; una guerra in cui il nemico, che provenga dal cielo o che si nasconda in un siluro sottomarino, ha un volto invisibile. Colpisce alle spalle, di sorpresa; in un assalto che non lascia possibilità di potersi difendere e che non conduce ad altro se non al disperato tentativo di mettersi in salvo. E poi sopravvivere.
Dunkirk è la storia vera di 400.000 uomini.
Siamo nella primavera del 1940: Seconda Guerra Mondiale.
Abbastanza lontano dagli intrecci caleidoscopici di film come “Inception”, e da quelli fantascientifici di “Interstellar”, Nolan ci conduce per 106 minuti all’interno di un mondo inimmaginabile e sconosciuto, tanto visionario e sorprendente come quello di “The Prestige” o incomprensibile e sincopato come quello del suo capolavoro assoluto “Memento”, ma con l’aggiunta di qualcosa in più. O qualcosa in meno. Una breve vicenda che conosce tre diversi punti di vista, in cui lo spettatore si ritrova contemporaneamente a bordo di un aereoplano, nelle viscere soffocanti di una nave prossima all’inabissamento, o sulle rive di una spiaggia infinita insieme a uomini in fila che attendono la propria sorte.
Tutto rapido. Sfuggente. Claustrofobico.
E non importa tornare in patria nello splendore della gloria: ciò che conduce il soldato fino a casa sono le nostalgie, i sorrisi familiari, le strade, le vie all’orizzonte che si proiettano su quel futuro che laggiù sul fronte appariva fosco, scuro; inafferrabile.
Perché la guerra è nelle mani, nelle tasche, nell’odore di polvere da sparo tra le vie del borgo desolato. La guerra è nel cielo. Nei missili di quegli aerei che squarciano le nuvole, e nel rombo sommesso di quelle ali scure che per un secondo eclissano la luce del sole; nel terreno; e nelle vesti che non cambi da giorni; nella sete che ti accalappia le fauci e che stride sui denti; la guerra è in quel mare blu intenso in cui ieri facevi annegare i tuoi pensieri e che ora guardi con terrore se, sotto attacco nemico, dovessi poi naufragarvi.
In un conflitto tutto assume un’altra tinta.
Nolan racconta la guerra senza pathos, né emozione. Senza lacrime; e senza toccare le corde di un dolore che già altri in passato hanno saputo abilmente afferrare ed interpretare.
Dunkirk è un film che narra una terribile vicenda in modo essenziale e crudo. I dialoghi sono ridotti all’osso e il silenzio è dosato a gocce.
Affrontare il tema della guerra con un occhio così estraneo, distante e distaccato, conduce inevitabilmente lo spettatore a non instaurare alcun legame con nessuno dei protagonisti; a non immaginare o prevedere in quanti sopravviveranno. In Dunkirk si sta continuamente sotto assedio; si sta sospesi in un limbo in cui risulterà difficile anche solo distinguere i volti dei soldati in preda al prossimo attacco nemico.
Il tempo: tema ricorrente in tutta la filmografia del regista, come non mai sembra essere scandito a stille tra quello che sembra un ticchettare di un orologio e il battito di un cuore tachicardico.
Qui è tutto circondato dall’odore della paura. Dal rumore della morte.
Non c’è nient’altro.
Nolan racconta una guerra di “mani” che sparano, che fanno fuoco; e di “mani” che si tendono per mettere il prossimo in salvo. Parla di codardi che voltano le spalle; e di uomini capaci di mettere a repentaglio la propria stessa vita per salvarne anche soltanto un’altra.
Colonna sonora: Hans Zimmer.
Visto. Impressionante.
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nonostante il film non mi abbia esaltato (ma non lo ritengo neanche un brutto film, sia chiaro), ritengo la tua recensione molto ben scritta, una chiave di lettura interessante
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Grazie Vincenzo, spero vivamente tu possa cambiare idea sul film.
Io andrò presto a rivederlo!
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